Con questo breve ma intenso poemetto che ha vinto meritatamente il premio “L’Astrolabio 2010/11” per una silloge inedita di poesia, Narda Fattori sembra narrare in versi la raggiunta consapevolezza di creatura terrestre che sa attraversare con orgoglio e fermezza le turbolente complessità dell’esistenza. Il diluvio ne è la metafora, diluvio che va sfidato, affrontato e accolto in sé, ma sempre con coraggio rinnovato, senza farsene mai travolgere. Fino al momento dei bilanci (dico momento non a caso, i bilanci non sono ancora quelli definitivi, non lo sono mai finché c’è vita…e forse Narda condividerà queste mie parole). Ed è sotto forma di (provvisorio) bilancio esistenziale che questa silloge adamantina si presenta al lettore svelando una grande umanità e a un grande amore per la vita; cose molto preziose che la poeta riesce, senza parafrasi e infingimenti a trasmetterci con assoluta persuasività. Per leggere bene questo notevole lavoro poetico, ci soccorre la bella nota introduttiva di un’altra poeta di valore come Valeria Serofilli. In quanto a me, mi limiterò a questo fugace commento:
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Raro trovare in un poeta di oggi (non facciamo distinzioni di sesso) questa “carica” solare, questa forza d’urto,questa splendida energia vitale tradotte in versi, nel loro scorrere tra il regolare, il vibrato e il perentorio. Mi sembra adeguata la metafora dell’acqua, seppure facilmente applicabile a ogni opera di sensibilità, ma leggendo il poemetto della Fattori viene spontaneo paragonare l’incedere classico delle strofe a dei ruscelli, fiumi, torrenti, laghi, mari e mai a paludi, mai ad acquitrini. Sarà la sua terra romagnola densa di umori e sapori e resa accogliente oltre tutto dal calore della sua gente, ad aver nutrito questo suo modo diretto e sensuale di far poesia? Poesia che tiene conto del fattore di comunicabilità, dell’incontro con l’altro, ma senza facili concessioni. Io sono convinta che una terra d’origine, la sua particolare fisionomia e i suoi abitanti, per non dire lo stesso articolarsi della lingua, eserciti una qualche influenza anche sul carattere dei versi.
La terra, l’acqua dolce e marina e le loro asprezze sono l’habitat interno ed esterno di Narda: smottamenti e buche e straripamenti (ma anche acqua ridarella) riflettono umori e turbamenti dell’autrice e ne rievocano le “cadute”, i dolori e le incertezze, sotto forma di disillusioni, di amarezze profonde, di dure prove subìte e sofferte, sia a livello individuale che collettivo. Ma il subire e il soffrire, per Narda, sono solo dei passaggi verso una sana ribellione, un deciso voltare pagina, un’assoluzione di sé e degli altri e soprattutto un accettarsi coi propri limiti, anzi esporli con delicatezza e andarne fiera. Fiera della sua sincerità, del suo coeur mis à nu. Mi viene in mente Sanfarà, poeta preislamico, figura che da sempre mi ha affascinato come mi affascinano certi personaggi tra realtà e finzione che difendono con fierezza la loro selvaggia indipendenza, a costo del sacrificio e della solitudine. Dopo una serie d’imprese (ovviamente anche feroci essendo un brigante) scrisse un poemetto, “Il brigante delle sabbie”, in cui con estrema sprezzatura afferma chi è lui, il suo distinguo dagli altri uomini che sono vili e corrotti e che alla loro compagnia preferisce le insidie del deserto e le belve. In un procedere incalzante di affermazioni – per negazione.
“…Ed uno non sono che dietro si tira e s’attarda e civetta /nell’accampamento,spalmato di balsami e kohl // Né sono un tafàno che compie più male che bene / infingardo, e sgomento se vien spaventato,ed imbelle;// Né sono un pauroso del buio notturno, quando incontro a un orrendo / deserto il cammello atterrito si scaglia in un cieco galoppo…”
Narda non è né scrive come il leggendario (e sanguinario) brigante…ma tutti quelli che conservano ben stretta la loro identità e non si fanno plagiare da nessuno né corrompere dalle mode e dalle prebende, mi rievocano questo mito della purezza, questa forza etica inflessibile dall’antichissimo sapore “guerriero”.
Propongo la lettura di tutto il testo di Dentro il diluvio, ma per un blog, seppure a carattere letterario (e selettivo) come questo mi è parso più consono operare una scelta: si tratta delle ultime pagine, quando questa silloge biografica, che conserva una tenuta di ritmo e senso fino alla fine, si avvia a una sua conclusione e le “acque di Narda” scendono a valle ancora ribollenti mentre lei, a ciglio asciutto, afferma: “Io so solo scrivere dei versi / e starmene da parte”.
[…]
Io non so fare il pane né seminare il grano
io non ho sapienza delle cose che contano
non ho la costanza dell’acqua il gusto
dolce della mela – io non sono tentata
non ho tentazioni- al mio poco mi stringo
e non è niente sì non è niente ma non lo temo
non mi fa male questo niente non trafigge
a culla si posa attorno alla mia carne
e mi para dai lividi dalle lame e dalle tarme
così che il mio pensiero non si roda
non si bucherelli e possa far passare
l’aria infetta che imputridisce attorno all’uomo
non so seminare i fiori ma coltivo sinfonie
di colori con steli e sepali e petali e profumi
sono antidepressivi naturali coltivo pace
almeno una tregua e sia fatto un nuovo
giorno con i colori di questo giardino.
*
Se sapessi qualcosa della bellezza
qualcosa che non si disfa che abbia
pienezza e il turgore del fiore sbocciato
che abbia una cima che fruscia
e il mattiniero canto dell’usignolo
se sapessi qualcosa della bellezza
impasterei questa mia carne come creta
e le darei sostanza eterna e forma
che non si disfa attorno alla corsa tonda
delle lancette e del dolore che la torce
se sapessi qualcosa della bellezza
con queste mani monderei il mondo
dall’ortica e dal loglio e dai mortai
e chiamerei a festa le creature
a festa quotidiana senza preghiere
senza piegare le ginocchia- a mani
libere di gioia e di abbracci d’amore.
Se sapessi qualcosa della bellezza
sarei altro da questa miseria storta
e dolorante.
*
La disarmonia dei gesti quotidiani
– ma quanta armonia nella carezza
di una madre sulla carne tenera del figlio-
s’infrange sull’armonia dell’azzurro
che riveste i colli il loro abito verde
la disarmonia è casuale instabile selvaggia
la signoria è dell’amore che frulla
sui rami e fa di due carni una adattate
e perfette –il cielo ha un riverbero
come uno spino di luce sull’iride
e siamo corvi bellissimi e savi e non
gracchiamo più cantiamo ninne nanne
ascoltiamo un silenzio musicale
di stelle lontane dalla creazione
di piedi leggeri su sentieri erbosi
e lasciamo che qualcuno perda la ragione
ragionando sulle sinapsi e la dura madre
il callo dell’encefalo il limbico antico
della disarmonia facciamo una veglia d’intenti
di noi che ci tocchiamo senza farci male.
*
Gli arrossati tramonti senza albe a venire
senza lamenti a vedere cadute senza rete
siete il muro che respinge e chiude
l’orizzonte tondo delle colline e sorride
lo spaventapasseri fatuo sul campo mietuto
fra rovinosi stracci s’è persa la coscienza
che fummo di pianto e d’amore
con altri dividemmo terra e pensieri
lo schianto e la tesa mano a sorreggere
i passi a venire.
Non passeri solitari sul campanile.
Non nubi Non sere. Non malattie di cuore.
*
L’alba non ha più canti d’usignoli
sgommano e rombano motori
strillano le madri e le nonne
tacciono sempre più spesso
tacciono o se ne vanno a rintanarsi
come bestie ferite.
La pelle sempre più trasparente
rivela la ragnatela azzurrata
che porta ancora al respiro
rivela la trama che potrebbe smagliarsi
e sarebbe un perdersi in rivoli
brunastri che non è rosso il sangue
dei vecchi ma scuro come acqua
sporca.
Acqua sporcata dagli affari
e dagli affanni la poca pace
il desiderio che spilla senza requie
e si fa molto chiasso con parole vuote
molto fracasso e non si canta.
Io so solo scrivere dei versi
e starmene da parte.
.
.
Dentro il diluvio di Narda Fattori, con nota introduttiva di Valeria Serofilli, Puntoacapo editore, 2011
……………………………….
“Se sapessi qualcosa della bellezza”…
Credo che tu ne sappia, altrimenti da dove sarebbero nati questi versi? E non solo questi ( che hanno colpito me)
“L’alba non ha più canti d’usignoli
sgommano e rombano motori
strillano le madri e le nonne
tacciono sempre più spesso
tacciono o se ne vanno a rintanarsi
come bestie ferite.”
“Io so solo scrivere dei versi
e starmene da parte”.
Tu sai della bellezza.
Sara
una completa sinergia in questo bell’articolo: le parole di presentazione della “critica” di occhio acutissimo Lucetta Frisa ( che interessante, ad esempio il riferimento al poeta preislamico Sanfarà) e la valida presa del dire della poetessa Narda Fattori: complimenti a tutte e due!!
Mi piace questo dire “della forza etica” di Narda, che ritrovo nelle poesie qui proposte, dopo averla toccata con mano nella sua interazione, qui su vdbd.
In queste liriche vi è una intelligente consapevolezza, non solo di sé per sé, ma della propria comunanza con l’altro, l’esterno, che quando è empatica come quella di Narda, consente al noi di venire rappresentato e compreso – toccato senza farsi, reciprocamente del male -, dice Narda (“di noi che ci tocchiamo senza farci male”), consente inoltre di non chiamarsi fuori (anche se nel distico finale Narda accenna ad un suo “stare da parte”), ma di rappresentare le istanze – più vere e genuine- umane, capaci di comprenderci.
Il “non so” iterato non è quindi un sottrarsi facile o opportunistico alle proprie inconcludenze, nè un mettere le mani avanti, bensì l’assunzione onesta dei propri limiti, che non esclude di mettere questi stessi limiti a disposizione
perchè il percorso diventa, almeno rispetto al sapere di non sapere, condizionale (“se sapessi”) e poi positivo, nel “so”, questa volta risoluto, del bel distico qui in finale.
Questo ad una lettura prima, tenendo inoltre per estremamente vera l’osservazione del commento di Sara.
Grazie per la proposta a Lucetta! (e a Valeria Serofili)
Dico infine che la definizione di “acqua di Narda” come “acqua ridarella” è una definizione bellissima! e appropriata.
un caro saluto
Puntuale e sapiente analisi, Lucetta, acuta come sempre. Dai frammenti riportati cresce il mio interesse per una lettura completa. Grazie.
Carissime amiche, devo ringraziare per prima Lucetta che ha scritto una nota sapida e “originale sui miei versi; e poi tutte voi, così attente, vere, senza cataratte che distraggono la visione.
Margherita e Sara e Dominica , ciascuno per conto suo, e tutte complessivamente, avete colto lo spiritò della mia poesia: starci qui, e amarla la terra e amarci fra di noi: sì Sara, questa è la bellezza, e anche un ranuncolo sul ciglio di un fosso è la bellezza.
“e siamo corvi bellissimi e savi e non
gracchiamo più cantiamo ninne nanne
ascoltiamo un silenzio musicale
di stelle lontane dalla creazione”
tra tutto ciò che mi è piaciuto, e mi è piaciuto molto, questi versi mi hanno coinvolta emotivamente, mi hanno sollecitato una visione galattica…
e come si avvicinano le minime cose ai massimi sistemi.
e la bellezza è ancora poesia.
grazie a Narda, e a Lucetta
cb
Mi scuso con Lucetta se nel commento di stamani non ho citato il suo accurato ed accorato lavoro di presentazione della bellezza.
Mi perdoni Lucetta?
Un saluto
Sara
Sono letteralmente incantata da questo verseggiare pulito e allo stesso tempo forte e netto presentato con stile e con chiarezza da Lucetta. I miei complimenti a Narda per il riconoscimento ottenuto per il suo lavoro e a Lucetta per la nota critica. Sandra
Altri hanno già scritto commenti approfonditi in sintonia con la poesia di Narda, in primis Lucetta.
Perciò mi accontento di dire quanto io comprenda e come mi senta in certo modo rappresentata dai versi di Narda, in particolare da questi:
non so seminare i fiori ma coltivo sinfonie
di colori con steli e sepali e petali e profumi
sono antidepressivi naturali coltivo pace
almeno una tregua e sia fatto un nuovo
giorno con i colori di questo giardino.
Complimenti per il tuo premio, Narda! e naturalmente per la bellezza delle tue poesie, anche se dici di non conoscere la bellezza. E complimenti a Lucetta per il suo limpido e appassionato commento
marina
Grazie di cuore a Sara, Dominica,Margherita, Mirko, Cristina, Sandra e Marina per quanto mi riguarda. Ma vi dirò che è stato un vero piacere per me occuparmi del coinvolgente poemetto di Narda su cui avrei avuto ancora tanto da scrivere ma per fortuna i vostri commenti così sensibili e mirati hanno arricchito e illuminato il mio breve testo.
E un grazie speciale a Narda per il dono della sua generosa poesia!!!
lucetta
Se sapessi…
Non so seminare fiori ma coltivo sinfonie di colori (….)
E SIA FATTO un nuovo giorno con i colori di questo giardino
Mi rimanda ad una preghiera, a una potente energia positiva che tenta di aiutare questa umanità a risollevarsi dalla CADUTA dove “fra rovinosi stracci s’è persa la coscienza che fummo di pianto e d’amore”. Mi piace il tuo niente che non trafigge e che anzi salva dal dolore, dal male….: “Non mi fa male questo niente non trafigge (…)e mi para dalle lame.
E ancor più affascinante mi è sembrata l’idea della ricerca di qualcosa “Che non si disfa…..” quando invece sappiamo di essere così fragili e caduchi. Mi unisco in questa ricerca!
E tutto questo è bellezza. Complimenti. Antonella.
Bellezza e consapevolezza, incanto e disincanto, al contempo, in questi versi profondi e coinvolgenti di Narda. Complimenti anche alle note critiche di Lucetta.
Gisella
Nel ricordo di J.Hillman,che sosteneva che l’anima è uno spazio fluido e condivisibile, ringrazio Narda per farci partecipare,con i suoi versi, all’anima del Mondo. Una condivisione che rende giustizia alla vita che se spesso ci lascia “insufficienti di fronte al precipizio, ma che è capace di generare i poeti i quali, pur restando da parte, riescono a creare luci senza bruciarsi, né bruciare.
Loretta .
Grazie a te Loretta che hai lasciato qui tra noi la tua bella e commossa riflessione.
Si, Narda è-come tutti i veri poeti- appartata ma con la fiamma sempre ardente
lucetta
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