5. scrivo per regalarvi il vuoto la mappa precisa di un’assenza alla tavola imbandita per il tempo che stanco ci precede si coagula in lenti giri di giostra sui volti che attrae come fa un lume dal fondo di oracoli socchiusi ora non è che un brivido un tratto improvviso sul foglio che dilegua al primo impatto una pozza rigonfia dove ristagna acqua di altre nevi
Doni da riprendere ogniqualvolta, da passarsi l’un l’altro, quelli di Francesco Marotta nella sua Dimora. Così, ci torno, sono tornata, stavolta per “Il dono di Eraclito (2007)”.
Già nel titolo la transitività del dono (di Eraclito tramite Marotta) che, fin dal bellissimo incipit della poesia 5.: «scrivo per regalarvi il vuoto /la mappa precisa di un’assenza /alla tavola imbandita», viene offerto attraverso “la mappa precisa di un’assenza”, come se quel posto aggiunto alla “tavola imbandita” dal/del Logos fosse proprio il luogo dove il “vuoto”, altrettanto generativo, è il convitato. .
Perché dono non è solo quello pieno e transeunte di una parola così prodigamente offerta, ma anche il vuoto che la stessa parola prefigura, e non mediante qualche forma di afasia, o addirittura in soprassalti da horror vacuo, quanto piuttosto nel darsi mistico del bianco: «solo il bianco / colma la meraviglia / di ciò che accelera luce /dentro l’ombra», summa del raccoglimento in sé del silenzio, del colore e delle sfumature.
D’altra parte è proprio questo bianco che substanzia il venire del verbo alla luce e in forma : «la voce è pura forma /e parla il corpo / che si fa piena nuvola / lampo improvviso di grazia», e lo fa attraverso la “pura forma” della voce che, consentendo al corpo di parlare, nello stesso tempo lo annuncia (“parla” il corpo, inteso come complemento oggetto), lo dice.
Si dà dunque un’ annunciazione: il “fulmine che tutto guida” di Eraclito, qui infatti è richiamato “improvviso di grazia“, come fosse appunto “pieno di grazia” (e vengono in mente diversi quadri sul tema dell’Annunciazione che presentano lo sfolgorio di un raggio luminoso);
il suo fuoco, come ogni forma incandescente, quando si raffredda in acqua consente la presa del divenire e del rigenerare («La morte per le anime è divenire acqua, la morte per l’acqua divenire terra, e dalla terra si genera l’acqua, e dall’acqua l’anima.» Eraclito, frammento) , anche degenerando in scioglimento e poi nel, di nuovo denso, coagulo di lume.
Così, anche la grafica a scanalature dei versi di queste poesie ci parla del loro essere pensiline su tutto ciò che scorre, o ancora foglie (« ho appena tratto a riva un ricordo /dal fogliame alluvionale /che ancora chiamo bocca»), sulle diramazioni delle giostre – aperte chiome esistenziali (il richiamo alle foglie, agli alberi, o, più in generale, agli elementi naturali o agli esseri viventi capaci di trasformare e di trasformazione- e non potrebbe essere altrimenti – è fortemente presente nella raccolta);
indentazioni di versi che come piccole tessere (e di nuovo viene in mente Eraclito nel bellissimo frammento: “L’eternità è un bambino che gioca con le tessere: di un bambino è il regno”) consentono di traghettare e, almeno parzialmente e per un attimo, ricomporre il tremore di «un orizzonte ansioso», di un « tempo che/stanco/ci precede».
2. solo il bianco colma la meraviglia di ciò che accelera luce dentro l’ombra la voce è pura forma e parla il corpo che si fa piena nuvola lampo improvviso di grazia un dove di ricordi alla prova del respiro e appena oltre già in atto l’aridità del giorno sull’edera autunnale un orizzonte ansioso la chiusa assordante delle acque sulle mani che si spogliano dei giorni davanti allo specchio muto di un lume rovesciato 8. anche la pioggia più gelida e fonda si defila in angoli di fumo in questa stanza qui dove nidifico tra filamenti di brace e allevo rami di pietra per fronteggiare i marosi partoriti dalla mia stessa ombra ho appena tratto a riva un ricordo dal fogliame alluvionale che ancora chiamo bocca ho appena un ricordo mi resta questo rivolo di sangue che dalle labbra smangiate tenta la carta con voce di seme
Francesco Marotta, Il dono di Eraclito (2007) (qui il pdf)
(Immagine: Emilio Merlina, Take some of my water, 2007 – fonte http://emiliomerlina.splinder.com/)
altri doni in pdf di Francesco Marotta:
Archeologia delle fonti
L’arte dimenticata di morire
Un’eternità passeggera
Icone del migrare
Altri riferimenti e testi alla sua scrittura sul suo blog La dimora del tempo sospeso e su altri diversi litblog della rete (fra gli altri: LPELS, Blanc de ta nuque, Poetarum Silva, …).
Ritorno e riproposizione di un dono consistente. Se dono è “di un’assenza alla tavola imbandita”, allora questa assenza sa mettere in moto viaggi ed esplorazioni, sa dare voce a quello che altri ritengono ineffabile. Sull’attacco della terza “tessera” di questo mosaico mi soffermo volentieri:
insonnia
anche questo è segno
finissima polvere
che avresti detto orma
ala ancorata
a palpebre di terra
se agli angoli strappati dall’incuria
l’accordo che transita
tra pupilla
e
lingua
non diventasse volo
splendida intensa poesia quella di Francesco Marotta e di alto livello, come sempre, la recensione di Margherita
Le poesie di Francesco Marotta hanno un che di mistico, di antico sacerdote, un alchimista delle parole, della luce e del fuoco, dell’aria e dell’acqua, un mago che da filamenti di brace fa nascere parole e semi per fecondare la terra, un pescatore che tira la rete dopo il diluvio primordiale. che scava lì, nell’indicibile pozzo e ne tira fuori versi colmi di luce. Come dice Margherita sono doni, doni che accolgo ringraziando per quei rami di pietra che alleva per fronteggiare i marosi. Coinvolgente l’analisi -dono di Margherita Grazie di cuore. antonella
Pingback: Il dono di Eraclito di Francesco Marotta
Grazie a voi tutte.
Provo a collegarmi in serata, in questo momento scrivo da una connessione oltremodo precaria.
Un caro saluto.
fm
la poesia di Francesco segue l’essere nei suoi abbandoni alla terra, nelle sue infinite reincarnazioni. E’ proprio brava Margherita a stargli a fianco, senza perdersi nessuna svolta.
Bellissimo il dono di Margherita che, a sua volta, ci dona quello-immenso- di Francesco.
lucetta
Grazie a tutti! Anch’io credo che il dono – i doni – siano la cifra (e se lo dico io eheh) della poesia, ma certamente anche di Francesco in toto. Dono che è anche quell’essere negli abbandoni alla terra come dice gugl, così come nelle parole-semi dell’alchimia fra elementi per l’alchimista rilevato da Antonella, in quell’assenza che “sa mettere in moto viaggi ed esplorazioni, sa dare voce a quello che altri ritengono ineffabile” di Anna Maria.
Un caro saluto a tutti!
L’accordo che transita tra pupilla e lingua è diventato volo.
E Francesco, in questo assillo surreale che spinge la sua parola a continue impennate, ci porta sempre avanti, verso un precipizio che a volte si trasforma in terra e acqua, ma spesso ci lascia sospesi nell’aria.
Grazie a Margherita per il suo “dono”.
Marco
Pingback: Doni da riprendere ogniqualvolta di M. Ealla su F. Marotta « letture (e scritture)
Una delle voci più alte e belle della poesia italiana, non solo di oggi. Un vero maestro, di forma e sostanza.
Francesco, ha questa capacità di sciogliere la pietra, renderla parola e poi luce.
Grazie a Margherita per questo dono.
vincenzo
Grazie a tutti per la lettura e la bontà degli interventi.
Volevo aggiungere una nota, sperando di non annoiare.
I tredici testi furono scritti nel giro di due-tre mesi, e vennero fuori esattamente nella forma in cui si leggono. Mi accorsi subito (mi succede quasi sempre, anche se poi intervengo poche volte nel merito) che avrebbero meritato una “revisione” in quanto ogni lirica contiene almeno un “lapsus” ritmico, un’imperfezione formale, un sovraccarico o una riduzione o uno stridore semantico in alcuni accostamenti o in alcuni snodi della trama testuale. Pensai, e penso, che quelle “cadute” ne rappresentano, invece, la cifra più intima e riconoscibile – quasi una forza autonoma della materia che, indipendentemente dalla “volontà” che guida l’operazione scritturale, si dispone secondo “logiche” estranee a ogni dettato e a ogni riduzione all’ordine.
Anche “la grafica a scanalature dei versi di queste poesie (che) ci parla del loro essere pensiline su tutto ciò che scorre” è una “risoluzione” del moto (eracliteo) della materia poematica e non, come può apparire a tutta prima, una scelta stilistica dell’autore. Me ne sono reso conto “a posteriori”, trovando in ciò anche una ragione dell’esistenza delle “fratture” e degli slittamenti di cui parlavo sopra. E infatti, ogni testo è leggibile su tre piani, ed è la risultante del convergere in un unico flusso di altri due testi che si incanalano “per caso” nello stesso alveo.
Propongo un esempio, che vale anche per tutti gli altri, perché la grammatica inconscia dell’incontro e del convergere risponde sempre alle stesse “procedure”. Ogni testo, dunque, è tre testi autonomi. Ecco il numero due:
(I)
solo il bianco
colma la meraviglia
di ciò che accelera luce
dentro l’ombra
la voce è pura forma
e parla il corpo
che si fa piena nuvola
lampo improvviso di grazia
un dove di ricordi
alla prova del respiro
e appena oltre già in atto
l’aridità del giorno
sull’edera autunnale
un orizzonte ansioso
la chiusa
assordante delle acque
sulle mani
che si spogliano dei giorni
davanti allo specchio muto
di un lume rovesciato
:::::
(II)
solo il bianco
colma la meraviglia
di ciò che accelera luce
dentro l’ombra
un dove di ricordi
alla prova del respiro
un orizzonte ansioso
sulle mani
che si spogliano dei giorni
davanti allo specchio muto
di un lume rovesciato
:::::
(III)
la voce è pura forma
e parla il corpo
che si fa piena nuvola
lampo improvviso di grazia
e appena oltre già in atto
l’aridità del giorno
sull’edera autunnale
la chiusa
assordante delle acque
Sono tre “testi” autonomi, funzionali a un loro interno “ordine migratorio” all’interno della stessa corrente.
Un caro saluto e buona giornata a tutti.
fm
Per conto mio questo commento di Francesco, con la messa in evidenza e l’esplicitazione dell’ “ordine migratorio” sotteso agli “slittamenti”, nonchè dei “lapsus ritmici” come elementi più intimi e riconoscibili della procedura scritturale, è un ulteriore grandissimo dono;
tanto più che mi chiarisce un “gioco” che, di primo acchito, mi era venuto nella bozza prima di questo post ( tessere – essere -foglie-faglie) per poi cassarlo data una pesantezza masturbatoria che invece di tenere a galla, faceva precipitare …:)).
grazie davvero, anche ai nuovi intervenuti!
ciao
molto interessante, lavoravi su tre livelli di flusso che scaturivano da un’unica sorgente e che alla fine convergevano in un’unico alveo. grazie per l’esempio chiarificatore. ciao antonella
Grazie a te, Antonella, per l’ospitalità, sempre più preziosa in questo blog, e per quello che hai lasciato scritto nel precedente tuo commento. Il riconoscimento dei tre “liveli di flusso” è avvenuto a “cose fatte” – e questo ci dice, oltre tutto, quanto poco dei “materiali” che lavoriamo alla fin fine è in nostro possesso in corso di scrittura.
Margherita, il “gioco” (tessere/essere – foglie/faglie) c’era tutto, secondo me. In buona sostanza, il nucleo di pensiero da cui i testi sono scaturiti conteneva una riflessione sul rapporto “essere-memoria” e sull’impermanenza “generativa” (in-finitudine) in cui si declina: la memoria – che sola dice l’essere – è tessitura (e ciò esclude, da subito, tanto la “perfezione” del “disegno” che l’ultimo punto della trama). Anche il termine che usi – “gioco” – è estremamente sintomatico e significativo: l’ultimo testo è proprio la descrizione di un “gioco” – quello del bambino (mio figlio) che ri-crea il mondo, proprio mentre il “flusso” si porta via le “mie” mani, ormai incapaci di ripetere lo stesso miracolo, la stessa “fioritura”.
fm
Francesco, sei talmente prezioso rispetto alla tua poesia e alla poesia in generale, che viene voglia di escogitare qualsiasi cosa per tenerti qui a dire ancora e di più
GRAZIE!
Ti ringrazio, Margherita.
Credo che sia un dovere (almeno per me lo è) rispondere alle sollecitazioni che ci vengono da eventuali lettori, quando i nostri testi sono diventati “pubblici”. Il senso dei blog dovrebbe consistere proprio in questa “interazione”.
Ciao.
fm
C’è tutto il senso dell’ in-terminabile di-venire eracliteo in queste liriche: c’ è il fluire dell’ essere nell’ in-canto delle immagini che scorre come schiuma di mare, che propaga chiarore e nitore, che accarezza lo sguardo del lettore colmandolo di leggerezza. Parafrasando il titolo del noto romanzo di Kundera si può sostenere che “Il dono di Eraclito” esprime “l’insostenibile leggerezza dell’ Essere”.
Un saluto a Margherita e Francesco,
Rosaria Di Donato
La poesia di Francesco si offre a diversi livelli di lettura grazie alle immagini che crea (davanti allo specchio muto/di un lume rovesciato) e alla maestria formale che, come è stato sottolineato, traduce qui in modo mirabile il “continuo divenire” di Eraclito. A me piace leggere questi versi anche come una riflessione sullo scrivere, sul fare poesia, e del resto la scelta stessa di un filosofo “oracolare” come Eraclito non poteva essere più felice.
Grazie a Francesco e a Margherita, acuta e attenta come sempre.
Abele
Un grazie a Rosaria e ad Abele per i loro commenti.
Sì Abele, in questi versi c’è anche “una riflessione sullo scrivere”. In tutto ciò che metto sulla carta questa istanza agisce, spesso in modo sotterraneo, incontrollabile. Sarà, forse, perché non mi è mai riuscito di staccare il momento della elaborazione concettuale da quello più immediatamente espressivo. Magari non ho mai nemmeno tentato di farlo…
Un caro saluto a voi.
fm
I versi assai suggestivi di Francesco Marotta inducono a riflettere primariamente sui profondi e stratificati collegamenti tra filosofoia e poesia e poi , non sembri secondario, tra spiritualità e linguaggio. L’autore non ha bisogno di presentazioni è legato ad una visione del testo ragffinata e congruente. Della sua testuslità apprezziamo la scelta lessicale, spesso preziosa, quasi trasognata, in un contesto tuttavia sorvegliatissimo nel suo nitore formale. Come è possibile unire la perizia della meditazione in versi con la voce ispirata dello sciamano, di colui he è in contatto con la divimità? E complesso, eppure il vero ppoeta riesce a vincere la sfida. Il testo di Francesco Marotta interloquisce, afferma, nega, seduce con i suoi sottintesi e con
I versi assai suggestivi di Francesco Marotta inducono a riflettere primariamente sui profondi e stratificati collegamenti, tra filosofia e poesia e poi , non sembri secondario, tra spiritualità e linguaggio. L’autore non ha bisogno di presentazioni, è legato ad una visione del testo raffinata e congruente. Della sua testualità apprezziamo la scelta lessicale, spesso preziosa, quasi trasognata nel tono e nelle immagini evocate dalle parole, in un contesto tuttavia sorvegliatissimo quanto a nitore formale. Come è possibile unire la perizia della meditazione in versi con la voce ispirata dello sciamano, di colui che è in contatto con la divinità? E’ complesso, eppure il vero poeta riesce a vincere la sfida. Il testo di Francesco Marotta, a tal fine, interloquisce, afferma, nega, seduce con i suoi sottintesi e con i microtesti rintracciabili fra la trama dell’opera, si veda la suasività, ad esempio, di: “un dove di ricordi / alla prova del respiro… un orizzonte ansioso …qui… ho appena un ricordo…
Interessante è notare il riferimento al respiro, quasi un legame tra spirito e materia, ritmo e scenario metafisico sotteso alla bellezza, sospesa, dell’esperienza poetica: un rapporto tra la forma, che evidenzia delle piccole sfasature ad arte, e l’idea del “crepaccio metafisico” cui le verità prime alludono. Il poeta, nella sua umanità, registra il senso di un vissuto, in apparenza comune, eppure singolare e straordinario. Come tutte le vite anche quella dell’autore è a suo modo esemplare di un percorso di ricerca. Distaccato dalla pura individualità di chi lo ha scritto, il testo tuttavia sembra imporsi come se fosse conosciuto da sempre, inscritto nella natura dell’essere. E’ mobile fuoco eracliteo, eppure verità eterna ed intangibile, quasi a dare ragione a chi istituisce un collegamento tra Eraclito e Parmenide, ovvero fra la parola che guizza balenante, sull’onda dell’ispirazione, ed il rigore degli accenti elaborati con attenta cura, fermi nella loro bellezza.
Un ringraziamento particolare a Margherita Ealla per le interessanti analisi che contribuiscono a guidare il lettore.
Marzia Alunni
Grazie infinite, Marzia, una lettura che ogni poeta si augura per i suoi testi: attenta, intelligente, sensibile, “rivelatrice”.
Un caro saluto, insieme alle mie scuse per la “latitanza” (ho problemi che mi tengono spesso lontano dal computer).
fm
Ringrazio anch’io (e mi scuso del ritardo!) Rosaria, Abele e Marzia per i bei commenti. Un grazie speciale, di nuovo, a Francesco che ha reso possibile il tutto.
ciao