In quell’ostinato ricordare di mia madre che il suo di padre , quello che mi era nonno, aveva nascosto per un anno a casa quattro ebrei, un piccola famiglia, fu il leit motiv che distoglieva dal rendere conto del nonno fascista. Che ne sapeva mio nonno nato a Tripoli del fascismo, che ne sapeva lui che pensava che quello era patriottismo, lui nato e vissuto da due generazioni in Africa? A me questo dicorso non andava giù, non capivo perchè gli altri due di nonni ben più modesti, facevano la croce sulla falce e martello e poi mio padre era o non era stato un partigiano?
Tra i suoi racconti assai tristi dei fatti d’Ungheria e quelli da brivido della guerra di mia madre, mi tenni per parecchi anni prudentemente nel mezzo, non certo come una democristiana ma come una qualunque ragazza anni ’50, una che non ha fatto la femminista ma il ’68 si, tutto intero.
Mi sono trovata nel 2001 rimbalzata, un bel salto prima della terza età. Due di esse, le età, le avevo già quasi del tutto passate.
Dopo trent’anni al servizio del pubblico, lavorando in borsa , ho ritrovato quella genuina intuizione che l’Espresso anni 60, era per me nel suo mega formato- inserto economia, ottimo rivestitore per la pattumiera, “robba sporca”. Conservavo il paginone della “cultura”, il teatro, il cinema , l’arte…
Dovetti, dopo un battesimo tardivo nel partito del Prc, ritornare sui passi di mio padre per capire che non c’è nessun potere dalla parte del cittadino e cinque anni di tessera erano stati più che sufficienti.
Ritrovo tutto intatto il fascismo, in versione sempre più di moda, quella che oggi si chiama tendenza.
In breve tempo sono venute a mancarmi le compagne, i compagni , la lotta comune, mi trovo improvvisamente come un’isolata interprete di una banale resistenza.
Mi accorgo che non ho più voglia di sorridere e forse neanche di sognare.
Mi accorgo che ho lottato in questi anni, che ho fatto tante volte una scelta, in termini personali e collettivi, che ho pagato per essere coerente e sincera, libera e non ingiusta.
Mi tornano allora alla mente i racconti, quelli dei giorni della Liberazione, quando mio padre uscì allo scoperto e tornò a parlare con gli amici al bar e poi non più, neanche quello…
Mi tornano alla mente i racconti, quelli dei giorni della fuga, quando mia madre venne via profuga e tornò a parlare con le ragazza italiane e poi non più, neanche quello…
Mi tornano alla mente le assemblee all’università, la musica e i figli dei fiori, i cortei duri e pesanti a via del Corso, le proteste a largo Chigi, mentre io fremevo a prendere gli ordini di borsa alla Banca Commerciale
mi tornano alla mente la voglia di tornare a casa per sempre, di non andare più al lavoro e lasciare invece l’Italia per sempre, mi tornano alla mente i figli che mi riportano per la strada ed io che mi appassiono a quella lotta, mi dicono che un altro mondo è possibile, e io ci credo, poi mi ritrovo, in un tempo senza tempo, a sentirmi molto sola come stasera a sentire parlare di giornalismo e libertà in televisione , a scrivere qui su un pc, un po’ smarrita e un po’ amara, senza voglia di festeggiare niente e nessuno, profuga e straniera.
Ero a pranzo oggi con un’amica , un po’ avanti con gli anni come me, una che mentro io venivo a vivere in paese, lei andava in città, non per piacere ma perchè il marito ha trovato un portierato e loro avevano dovuto vendere casa perchè non ce la facevano più… Cerco le parole giuste che definiscano questi tempi nuovi e mi escono dalle labbra, parole che mi sembravano antiche, trasmutate in altro.E invece eccole riemergere le antiche parole di sempre: fascismo , repressione, potere , libertà e giustizia in fuga, come la pace che non c’è e non te la regala nessuno.
Il 17 novembre torno a Genova: dove avevo capito che la storia siamo noi.
Ma non basta per ritrovare il gusto per la vita, quello che mi avevano insegnato quando ero piccola sempre in mezzo tra i racconti del Rex che affrontava il mare tra L’Africa e l’Italia e il carro che portava ai campi a mezzadria e anche i bambini avevano una falce , piccola, nella mani.
“Vissi d’arte, vissi d’amore Non feci mai male ad anima viva!” cantarellava la Tosca di una nonna e l’altra rispondeva con la sua Pia de’ Tolomei onesta e sgherra che : “Si sospenda la guerra e si soggiorni.Termino il canto e chiudo i versi miei”.
Dicevano che chi semina raccoglie ma le stagioni sono diventate piene di imprevisti: dicono che il clima è cambiato.
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Guido Tedoldi ha detto:
Che lo spirito nazionale italiano sia fascista lo si è visto nel 1996, quando Berlusconi vinse le elezioni avvalendosi dell’alleanza di Fini, ma capeggiando un partito che era evidentemente più a destra di quello alleato. Erano passati 50 anni da quando il fascismo aveva ufficialmente perso (essendo uscito sconfitto da una guerra mondiale) ma eravamo daccapo. E non si poteva nemmeno dire che erano le stesse persone che avevano risollevato la testa, accidenti, no, perché i fascisti del ventennio mussoliniano non c’erano in pratica più. Meri motivi anagrafici glielo avevano impedito: erano morti o troppo vecchi. A rivincere erano stati dei personaggi nuovi. Figli, o addirittura nipoti. Era un’altra gente italiana, ma era la stessa.
Eppure non bisogna lasciarsi andare. Credo ci sia speranza che le cose possano essere diverse. Ok, voglio crederlo.
L’Italia non è tutta lì. Lo spirito nazionale fascista nepotista non esaurisce lo spirito nazionale italiano. Anche qui ci sono quelli che considerano il merito un valore. Molti se ne sono andati, e se ne stanno andando. La fuga dei cervelli non è solo un fenomeno contemporaneo. Non sono sicuro che abbandonare la lotta, lasciarsi trasportare dal flusso – sia la cosa giusta da fare. Vedere l’errore altrui, e vederlo prevalente, non equivale a trovarlo bello e imitabile.
Ma perché continuare a perseguire qualcosa di diverso? Be’, perché non si è convinti che l’uguale sia giusto. Può bastare.
Guido Tedoldi
Blumy ha detto:
che bell’articolo, Doriana ! Sentito, vissuto, come potremmo (possiamo, posso) sentirlo e viverlo noi che, in qualche modo, in maniera diretta o indiretta, il fascismo l’abbiamo conosciuto. Mio padre era fascista. Ma da noi, in Sardegna, il fascismo aveva una faccia buona, era ordine, correttezza, diligenza. Io, che da piccola ho letto il Diario di Anna Frank, che sono sempre stata un pò ribelle e ho sempre guardato il fondo delle cose, mai la superficie, sono stata la figlia ribelle, dissidente. Moderata, equilibrata, sempre pronta a considerare ogni lato, ogni sfumatura di cose, persone, avvenimenti.
Anche il ’68 qui è passato all’acqua di rose. E io ho criticato anche quello, almeno le sue scelte estreme, le sue ostentazioni. Ma ha pure portato poesia e canzoni, il sessantotto e, soprattutto, ha portato avanti istanze che oggi ci permettono di respirare meglio.
un abbraccio, Doriana.
Blumy ha detto:
p.s. pensa che vivo in una città fondata proprio da Mussolini, Doriana, Carbonia che, per reazione, soprattutto i primi anni, era rossa.
maria gisella catuogno ha detto:
Bell’articolo, Doriana: sentito, sofferto! Verrebbe voglia di lasciarsi andare, di non credere più; eppure, malgrado tutto, io penso che si debba Resistere, resistere, resistere, come invitò a fare Orlando dopo la rotta di Caporetto: scegliendo i mali minori e intanto lottando per i valori in cui sempre abbiamo creduto: la giustizia sociale, la libertà, la tolleranza, il rispetto reciproco, l’ambiente…Belle anche le immagini che hai inserito numerose
un caro saluto
gisella
roberto matarazzo ha detto:
te da Donna, io da Uomo: ma storia similare, parallela, amara e, fortuna, ancora voglia di creare nonstante tutto oltre la banalità di quanto ci viene proposto; mi è piaciuto moltissimo questo tuo scritto biografico che mi ha coinvolto tantissimo e un caro saluto da chi viene definito “radical chic”, mi piace, non mi piace, chissà…
roberto
domaccia ha detto:
ho apprezzato questo post scritto in prima persona, è un brano da cui traspare passionalità e convinzione etica, non ancora annullate dal disincanto e dalla delusione
Dario ha detto:
Il tuo scrivere è già uno smentire l’impossibile isolarsi 🙂
Doriana ha detto:
Sono molto contenta che Antonella abbia inserito queste mie “memorie”, credo come sembra tanto simili alle vostre, solo che io ho dato loro un nome, quel nome che a casa si cercava di non dire, si parlava di tutto, dei ricordi dell’Africa e poi dell’Italia, della generosità e semplicità dell’affrontare la guerra e l’invasore…senza “ismi”. Poi mi rendo conto che oggi certi silenzi, magari anche molto dolorosi, diventano complici, io in ogni caso ho l’urgenza di dire, di supporre, chiedo. Le vostre risposte sono una conferma come altre risposte, tante e violente da altre parti, confermano che il fascismo non se ne è mai andato. E il silenzio, proprio da quella parte che credevi contigua, non è un silenzio complice, è un silenzio tragico.
Un’amica lettrice ha parlato di mia sconsolatezza, a questo proposito ringrazio Dario che la smentisce così abilmente sintetico e tutte/i voi perchè mi raccontate qualcosa. Quello che speravo: camminare ancora e magari sottobraccio.
Antonio Fiori ha detto:
Testimonianza scritta con cuore e con ragione. E sconsolatezza da rifuggire, Doriana.
Buona nuova giornata
Antonio
Doriana ha detto:
Un altro dolcissimo e straordinario Antonio ebbe a dire delle cose che condivido, tanto…
“Il mio stato d’animo è tale che se anche fossi condannato a morte, continuerei a essere tranquillo e anche la sera prima dell’esecuzione magari studierei una lezione di lingua cinese per non cadere più in quegli stati d’animo volgari e banali che si chiamano pessimismo e ottimismo. Il mio stato d’animo sintetizza questi due sentimenti e li supera: sono pessimista con l’intelligenza, ma ottimista con la volontà”
Antonio Gramsci, 19 dicembre 1929
Antonio ha detto:
Invidiabile la forza, la lucidità e il coraggio dell’affermazione dell’altro Antonio che qui riporti. Famosissima la conclusione, ma esemplare quel che precede.
Antonio
sandrapalombo ha detto:
Mal comune mezzo gaudio…ma non sorrido nel riconoscermi in questi sentimenti anche se la nostre vite sono state e sono differenti. La tentazione di chiudersi al mondo c’è quando hai toccato con mano che gli ambienti che dovrebbero essere vicini alla popolazione sono i più distanti, siano essi politici o religiosi.
L’unico vento positivo lo respiro nel volontaraiato, ma anche lì i poteri allungamano le mani per benedirlo. Tuttavia la speranza la trovo nei giovani che sono molto più scaltri e svegli di noi forse perché cresciuti in momento vuoto di ideali che li costringe a pensare e a non farsi trascinare.
Sandra
dlombardini ha detto:
questo paese mi disgusta: la sua classe politica, certo (loro NON ci rappresentano, non sono “specchio del popolo), ma anche la mia generazione non scherza. ho ventisei anni, e vedo la mollezza dei miei coetanei, la mancanza di critica, l’accettazione pedissequa di quello che hanno, il consumo, l’impudicizia della loro ignoranza. non voglio fare il Catone, questo disprezzo è proiezione di personali manchevolezze, anche io sono un prodotto di questa società. noi non ci rendiamo conto che quello che vediamo, questo stato di cose, il precariato che convive con il cosumo in primis, crea un mondo di segregazione: siamo nati e cresciuti consumatori, ma un precario, per definizione, non può consumare, può a stento vivere fuori casa dei genitori.
vedete crescere i figli, nella luce delle vetrine,
confermati nella loro chiamata al principio
del piacere: basta solo additare. vedi la vetrina?
io vedo scandali e sfaceli, un mondo ruinante.
vedi un muro, l’intonaco nuovo: no, solo crepe e fil di ferro
sporgenti come ossa da corpi sfatti. non vedi?
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Giovangualberto Ceri ha detto:
Gentilissima Signora DORIANA GORACCI,
sono così stanco per il troppo lavoro e tormento su Dante e sul suo Medioevo che non posso che prendere sul serio il suo intervento, datato 11 febbraio 2010, in cui Lei mi consiglia, così mi è sembrato, di imparare ad amare. Fosse facile! Intanto beata Lei che c’è riuscita.
Per l’esattezza così leggo nel BLOG del ‘Corriere della Sera’ – “2 GIUGNO FESTA DELLA REPUBBLICA – MESSAGGIO DEL CAPO DELLO STATO GIORGIO NAPOLETANO”, mentre lei così a me si rivolge:
“Doriana Goracci 11 febbraio 2010 alle 01:22
“Io spero che qualcuno lassù o quaggiù, le risolva questi tormenti e le dedico una bella canzone Il Paradiso, la cantava Patti Pravo quando ero ragazza. Lei lo è mai stato giovane, innamorato anche di certe stelline, lucciole che si trovano quaggiù sulla terra? ….”
Bellino, bellino!!! Innamorevole. Mi tormento, sì, è vero!, poiché ho scoperto cose su cui nessuno mi dà ragione e nemmeno mi ascolta. Più precisamente, riguardo a quello che lei conosce di me: che DANTE PERSONAGGIO è nato il martedì 2 Giugno 1265 (Par., XXII, 110-118), e per me si tratta della nascita di un amante; e che la “gentile donna giovane e bella molto” che insegna, guarda caso, proprio come DORIANA GORACCI ad amare, fu vista dal Poeta stesso il sabato 15 Agosto 1293 (Vita Nuova, XXXV, 2; Convivio, II, II, 1; II, XV, 12). Anche lei sarà dell’opinione che non vale la pena impazzire, o tormentarsi per due date: e invece io ritengo che, afferatane l’articolazione medievale, possano contribuire a cambiare in meglio la nostra cultura. Lei lo fa con quello che è, io con quello che vorrei essere: ma l’intento è il medesimo.
La invidio del fatto che da ragazza abbia potuto in qualche modo conoscere PATTI PRAVO potendo così imparare meglio a vivere veramente. Nel mio dolore e tormento io mi sono invece spesso passivamente rifugiato in DMITRY SHOSTAKOVICH quasi rendendomi sterile. Quand’io mi volto indietro mi dico che, probabilmente, non ho mai vissuto: pienamente di sicuro! Dunque la invidio!
Lei sembra aver subito intuito anche che quand’ero giovane io non avrei potuto che volermi fare prete: ed è vero! Questo avvalora la sua intuizione che io, forse, non sarei stato mai innamorato in vita mia di una stellina, se pur piccola, o di una lucciola, e nemmeno da mettere sotto il bicchiere. Non so però se a un uomo che si trovasse in questa mia miserabile condizione fosse giusto che qualcuno semplicemente glielo rinfacciasse, senza cioè, almeno sommariamente, dirgli come fare ad uscirne. Perché lei l’ha fatto! Perché finalmente mi dessi una scrollata. Ma io sono nato il 26 febbraio 1937 ed ho perfino portato la divisa fascista di “Figlio della lupa”. Ma, è vero, non è mai troppo tardi.
L’ho capito anch’io, se pur non per mia diretta esperienza personale (glielo concedo!): gli amori spesso sono brevi, se pur utili e piacevoli, e io ho dedicato anzi buona parte della mia Tesi di laura in Filosofia, sul trattato di Fenomenologia genetica del mio maestro ed amico, il Filosofo e romanziere RAYMOND ABELLIO, a spiegare come anche tutti i rapporti amorosi vadano soggetti al SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA, o di CARNOT-CLAUSIUS, e cioè all’aumento dell’entropia in seguito alla ripetizione dello stesso rapporto. Si parte con l’entropia verso il minimo, i primi giorni dell’incontro, e poi più o meno lentamente si procede verso il massimo di entropia, in cui la nostra coscienza, per continuare a lavorare con entusiasmo verso la vita e profitto suo proprio di ampliamento, richiederebbe una rottura, un cambiamento del rapporto, cioè la fine del vecchio. Sono Cristiano ma a me che esista la libertà di divorziare mi rende assai più felice, non chiuso in una gabbia, per quanto non trovi mai la chiave per uscirne. Essa comunque c’è, basta migliorare il fiuto. Potrebbe essere sotto il tappeto. Scrissi nella mia tesi, anche teorizzandolo, che se ROMEO E GIULIETTA di SHAKESPEARE avessero potuto vivere insieme tutta la loro vita, ebbene nonostante che fossero loro, alla fine sarebbe stato sempre ipotizzabile che l’entropia potesse notevolmente aumentata fino a portare il loro rapporto verso una crisi, o poco lavoro da fare insieme, e questo sicuramente almeno sotto il profilo del magnetismo sessuale, che è poi la base dell’opera.
Quando portai a leggere una copia di questa mia tesi di laurea a Padre ERNESTO BALDUCCI del Centro Studi Badia Fiesolana, egli, dopo essersi disdetto amaramente di non aver scoperto lui per primo un Autore così profondo, come per indole ara sua abitudine, e si tratta di RAYMOND ABELLIO, rimase entusiasta proprio della spiegazione dell’aumento dell’entropia nel rapporto amoroso. Con la sua lunga lettera, datata 2 Novembre 1985 e da me già da tempo pubblicata, così mi rispondeva: “Caro Ceri, … In particolare mi ha interessato la categoria dell’entropia usata per spiegare il deterioramento dei rapporti intersoggettivi. Uno spiraglio che mi sarà di sicuro utilissimo per mettere ordine in tante mie esperienze…” F.to Ernesto Balducci”. Ma prima che un rapporto intersoggettivo si deteriori andrà, a monte, prima iniziato. Ed è quello che lei a me sembra rimproverare. Forse a ragione.
Per notizia, siccome il metro dell’aumento dell’entropia in un rapporto amoroso sembra interessarle, le rammento che era stato un altro mio amico, il Prof. Dr. Ing. WILHELM FUCKS, ad originalmente spiegare la possibile estensione alle scienze umane del secondo principio della Termodinamica, compresa l’esperienza amorosa moderna di cui si occupa anche la poesia contemporanea. WILHELM FUCKS, che dopo la guerra e dopo essere riuscito a “fregare” ADOLF HITLER nella battaglia aerea d’Inghilterra (1939-1940), per essere riuscito a risolvere, nell’Hangar di Aachen (?), solo teoricamente la turbolenza degli aerei MESSERSCHMITT Bf 109E che andavano a bombardare l’Inghilterra (turbolenza che ne riduceva drasticamente l’autonomia facendo perdere ai Tedeschi la battaglia e fors’anche la guerra), si era poi impegnato ad applicare il secondo principio della termodinamica di Carnot-Clausius alle Scienze Umane, riuscendovi con grande interesse internazionale. Certamente perché anche lui stufo, per l’aumento dell’entropia, di insegnare fisica teorica (Cfr. lettera inviatami da Fucks il 21 luglio 1985 – D5000 Köln 41, Klosterstrasse 63, Repubblica Federale di Germania – e già da me pubblicata). Parlando più volte a Firenze, al “Caffè Gilli”, con FUCKS, o con Willy come lui amava da me essere chiamato, era anche lui della convinzione che una stellina, o una lucciola, nel senso da lei attribuitole, forse potesse valere tutta la sua scienza, tutti i suoi più di novanta brevetti scientifici. Certamente, così mi disse, non la perdita della Battaglia d’Inghilterra, poiché se l’avessimo vinta noi, con molte probabilità non saremmo oggi qui da Gilli a discutere sull’incidenza dell’esperienza amorosa nell’entusiasmo per la vita. E perché quella tale stellina, o lucciola, da lei ricordata come erostrata, non dovrebbe valere anche tutta la mia scienza dantesca? Ma se le dicessi di sì, come potrei dopo avere la lucciola? Comunque io paragono l’importanza per l’umanità delle mie scoperte nel loro complesso, pari alla vittoria degli Inglesi nella Battaglia d’Inghilterra. Bella botta!!!
Alla stessa età in cui lei ragazza viveva, cresceva e felicemente amava all’ombra di PATTI PRAVO, io, purtroppo, dopo aver rinunciato ad entrare nel Seminario Arcivescovile, mi feci fascinare da JEAN PAUL SARTRE fondando con entusiasmo insieme a lui e ai direttori Claudio Popovich e Piero Favini, che erano reduci da Parigi, la rivista “IL MALINTESO” – periodico di discussione – Estate 1962 – (Registrazione al Tribunale di Firenze, decreto n. 1471 del 16 Maggio 1962 – Tipografia G. Cencetti, s.a.s. Firenze, Via L. da Vinci, 7). Lo confesso, non lo feci per amore di un ideale, o per imbroccare una stellina, o una lucciola, tant’ero disperato per non riuscirci. Lo feci invece per calcolo, per ambizione politica, per avere, col tempo che ci veniva favorevolmente incontro, una qualche carica politica nella Pubblica Amministrazione. Attaccai poi, quando arrivò il sessantotto e per quanto mi fu possibile, ai sessantottini stessi e fin’anche a quelli del settantasei, questa mia egoistica ambizione personale inconfessabilmente aperta anche alle tangenti e al carrierismo universitario: cioè l’attaccai ai dirigenti, a vario livello, dei movimenti extraparlamentari, questa mia nascosta intenzione e, in questo intento credo, riuscendoci almeno un pochettino.
Ma torniamo a noi. Sartre apriva la rivista “IL MALINTESO” (Estate 1962) con l’articolo intitolato “La violenza”. Riassumendo egli diceva che fra noi e la borghesia il malinteso deve essere abolito. La contraddizione degli interessi fra capitale e lavoro non deve essere resa sopportabile con la scusante di un temporaneo malinteso fra le parti: anche perché questo atteggiamento temporeggiante era già risultato storicamente perdente, infruttuoso, poco furbo. La contraddizione era strutturale e andava combattuta con una qualche forma di lotta di classe. Ed è così che contribuimmo a far nascere, almeno dal mio punto di vista, il sessantotto. Per la infinitesimale parte a cui anch’io ho contribuito non me ne pento. Certo alcuni ex-compagni poi mi dissero, negli anni ottanta, che io ero stato lì con loro a “soffiargli il naso”. Ma non credo affatto di essermi trovato nella condizione di averglielo potuto soffiare a lei, tanto lei mi insegna… Sartre infine così concludeva l’articolo: “Gli Algerini combattono in condizioni disastrose, vengono loro uccisi mogli e bambini, se sono presi torturati a morte, e il milione di morti, su nove milioni di abitanti, li ha talmente disgustati della vita che non hanno più voglia di vivere, ma solamente di vincere, e considerano sfortuna di non essere uccisi (forse anche il senatore GIULIO ANDREOTTI, che certamente non le rimarrà simpatico, oggi ne capirebbe la ragione.) I mussulmani sono gelosissimi delle loro donne, le velano, e quando qualcuno le ha toccate le ripudiano, anche se esse non ne hanno nessuna colpa. Oggi, nei villaggi, i francesi violano molte donne: accade spesso però che un combattente mussulmano consideri doveroso sposare una donna violata dai francesi. La violenza non è bella in sé, ma è necessaria come reazione ad una violenza di oppressione. L’oppressione non è solamente sfruttamento, ma distruzione. Allora, la violenza di reazione, è di conseguenza umana, è nel senso della salvezza umana” F.to JEAN PAUL SARTRE.
Così noi demmo il via al sessantotto, e forse non so se c’è oggi qualcosa di cui pentirsi. Io intervenivo nella rivista da cristiano, a pp. 28-29, con l’articolo “Valore del rischio” scrivendo che è dunque l’ora di finirla con la TEOLOGIA razionalista scritta. Bisognava che i CRISTIANI iniziassero a combattere la DEMAGOGIA presente nella DEMOCRAZIA e, al fine di eliminare la demagogia stessa, finissero per accettare il rischio quand’esso fosse servito a realizzare maggiormente l’uomo, la sua completezza. Se Sartre aveva dato la colpa dalla situazione alla coltivazione di un perenne malinteso, io la davo a quella di una costante demagogia, risultando del resto la coltivazione di un perenne malinteso al fine di sfruttare meglio il proletariato, una forma concreta di demagogia. Quindi io e lui ci capivamo. Infine concludevo scrivendo: “la pace presuppone la verità la quale non può attuarsi che col rischio” F.to GIOVANGUALBERTO CERI.
Le confesso, gentilissima DORIANA GORACCI, che ora che ho più di settantanni, la mia vita mi sembra quasi sprecata. Anche se non mi spingo fino a dire di invidiare, o ammirare, il suo ordine di esperienze, sono tuttavia convinto che se i suoi consigli mi fossero giunti per tempo, nel ’68, allora sì avrei potuto almeno tentare di approfittarne. Oggi quasi mi pare di essere un matto a credere di poter arrivare a porre le basi per una rivoluzione culturale esistenziale, ontologico-vissuta, partendo da un approfondimento del pensiero e del vissuto di Dante. Dovrei essere il VELTRO (Inf., I, 49 – 111). Avrebbe di nuovo ragione lei: non mi resta che sperare che di lassù qualcuno mi faccia la grazia di risolvere questi miei ventennali tormenti intellettuali. Non vorrei però infine deluderla nell’ammaestramento che ha tentato di darmi. Io insisto: quelli laggiù per me sono uomini a cavallo, son veri cavalieri, e non affatto mulini a vento. Faccio perciò voto alla Madonna che sopporterò di essere tormentato finché non li avrò vinti. Salutando,
Giovangualberto Ceri
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