I preparativi duravano poco, le discussioni, invece, giorni. Come al solito cominciava mia zia Marietta, chiedeva a mia madre con chi farlo, farlo da soli o farlo, come sempre, con Rosina? Poi aggiungeva che l’anno scorso Rosina era rimasta seduta per tutto il tempo e aveva lasciato che gli altri lavorassero per lei, la schiena aveva detto, nu duluri come s’avissi un cani appizzato, però le bottiglie lo stesso se l’era portate a casa, non le faceva male la schiena quando le prendeva a due a due e le metteva nel canestro. Ma no, rispondeva mia madre, la comare Rosina mai si è seduta, ha lavorato come gli altri, ricordo bene che l’anno scorso passò al setaccio almeno 50 chili di pomodoro. La zia Marietta era così, aveva sempre da ridire su tutto e tutti. Le manca l’uomo, diceva mio padre, per questo è acida, è lei che non deve venire quest’anno, meglio che non ci mette mano nella salsa, ce la fa inacidire tutta. Anche la povera comare Rosina veramente non aveva marito, un giorno era scomparso nel nulla, lei raccontava che era uscito e non era più tornato, diceva che era andato a lavorare in Germania, invece qualcuno l’aveva visto al corso di un paese vicino che passeggiava a braccetto con un’altra donna e ridevano. Però Rosina non era acida, era grassottella e buona. Ai suoi tempi era stata una bella donna diceva il papà, come sua figlia Carmela aggiungeva. A me Carmela non sembra bella, mi sembrava come le altre, una scema. Le discussioni duravano ore e ore ma alla fine tutto era come ogni anno, si andava in campagna e venivano le stesse persone, sempre la zia Marietta, sempre Rosina, sempre Carmela e poi tutti gli altri, uomini, donne, bambini.
Si cominciava nel tardo pomeriggio, quando il sole cominciava a calare e c’era meno caldo e il vapore non saliva più dalla terra che sembrava che tutto si potesse liquefare, le case, i muri, le strade, tutto si muoveva pigro, ma tutto danzava sinuosamente, come un effetto d’onda lenta, infinita. Ci mettevamo sotto il noce grande a lavare i pomodori dentro grandi vasche di zinco, poi li facevamo a pezzi; donne e bambini, le donne parlavano di ricami, di corna, di gravidanze, di preti; gli uomini accendevano i fuochi con la legna e dopo cominciavano a mescolare: in uno il pomodoro intero, che poi veniva passato al setaccio dalle donne, e, nell’altro, il pomodoro già setacciato, aglio, basilico, sale, olio di oliva. Enorme calderone dove bollivano i sogni di evasione, di partenze, ma brevi spostamenti, desideri di paesi, limitari e limitati, come dal noce al muro a secco che segnava la chiusa. Andare nel paese vicino, come il marito della comare Rosina, e passeggiare a braccetto con una donna che ride sembrava già una vicenda molto allettante. Qui quando si fa la salsa non si ride, sono tutti sudati e stanchi, uomini e donne, passano e condiscono, mettono la legna nuova nel fuoco e mescolano con cucchiaio grande di legno che ha un manico che misura più di un metro, quasi quanto me che sono alto quasi un metro e mezzo anche se ho dieci anni, sono alto più di Carmela che di anni ne ha uno più di me. Qui gli unici che sembrano divertirsi sono i bambini piccoli, scorazzano qua e là, toccano la terra, strappano i fiori, li assaggiano, li mangiano, l’importante è che si tengano lontano dal fuoco, dai calderoni. L’anno scorso volevo un bacio da Carmela, non che mi interessasse particolarmente ma l’avevo raccontato a Lorenzo, per vantarmi, perchè lui diceva in giro che uno come me, uno brutto come un ranocchio nessuna donna l’avrebbe mai baciato. Così inventai che l’anno prima mi ero messo a dormire sotto il noce grande, Carmela m’era venuta dietro, si era avvicinata e mi aveva baciato. Allora Lorenzo ridendo m’aveva chiesto com’era stato, cosa avevo provato, se avevo sentito il bruciore nella pancia, nelle gambe, un bruciore lì, quello che si sente quando uno è uomo vero. Io dicevo che sì, che anche se dormivo l’avevo sentito, anzi, m’ero svegliato perché m’era venuto quel bruciore strano, che mi saliva dalle anche e mi prendeva tutto e poi mi usciva forte dalla bocca che sembravo un drago che sputava fuoco, altro che ranocchio! Altro che fuoco per cuocere il pomodoro, nella mia bocca lo potevano mettere il calderone.
Lui rideva quando raccontavo queste cose e mi spernacchiava, mi sputazzava, e quando passavo davanti casa sua si affacciava alla finestra e mi chiamava rarararanocchio fammi vedere come sputi fuoco dalla bocca, fai il drago, e poi giù a ridere, a sputare, a scompisciarsi. E io non dicevo niente perché in effetti non ero un drago e Carmela non l’avevo mai baciata.
Così quell’anno mi decisi di farlo davvero. Avevo studiato il piano nei minimi particolari: andare dietro al noce e poi chiamarla dicendo che avevo bisogno del suo aiuto, che mi sentivo che un moscerino m’era entrato dentro l’occhio, che mi faceva male. Quando lei sarebbe venuta l’avrei baciata a tradimento. Ma si sa che il diavolo fa i calderoni ma non i coperchi, infatti quando Carmela si avvicinò e mi guardò l’occhio, che proprio stava lì che con le mani mi alzava la palpebra e ci soffiava dentro, e diceva non vedo niente, e chiedeva sei sicuro, e proprio quando ero pronto per baciarla, un moscerino vero mi entrò nell’occhio che richiusi di colpo a causa del dolore. Nonostante il dolore non rinunciai al bacio, mi buttai verso Carmela, gli occhi sempre chiusi, feci due passi, inciampai, caddi sul terzo fuoco che gli uomini stavano cercando di accendere per sterilizzare le bottiglie, non ancora un grande fuoco ma abbastanza per farmi bruciare la pancia e per farmi sentire, veramente, il fuoco dentro.
Che dolce questa cosa 🙂 che ci sta dentro il ricordo mio, dei grandi pentoloni, ed il racconto pure, che un po’ te lo aspetti quel fallimento ma fai il tifo lo stesso che tanto non costa niente e lo scrivere anche, che mai guasta.
credo che voi siciiani abbiate la fortuna di respirare Verga dovunque volgiate la testa.
bel racconto. erminia
Ricordi andati ..e mai dimenticati :))
Una sola espressione in siciliano, e l’ho letta volentieri: -nu duluri come s’avissi un cani appizzato- un dolore come se avessi un cane aggrappato alla mia schiena. Questa è facile da capire, ma ci sono espressioni e parole prettamente sicule che tradotte perderebbero della loro efficacia.
Non so se tutte queste manovre per avere la salsa profumata e genuina pure d’inverno si faccia altrove.
Un racconto scorrevole che sa di vita.
Ciao
Bellissimo, bellissimo. Su questa scia potresti continuare a scrivere all’infinito, e all’infinito ti leggerei. Memorie, ironia, colori e odori, incommensurabile saggezza e innocenza contadina, simbolicità di tutto quello che circonda e che appartiene al quotidiano, grandi e struggenti temi della vita, Poesia.
Ma quanto mi è piaciuto, che bel risveglio stamattina!
Un racconto “sapido”, dove tutto pare in ebollizione, come il pomodoro nei calderoni!
c’è odore d’infanzia, in quei calderoni dove si faceva la salsa, odore del ‘buon tempo antico’ in cui tutto era davvero più genuino, il cibo, la gente , i ragazzini che oggi sono più grandi della loro età e ieri facevano gli spacconi con gli amichetti raccontando prodezze d’amore mai compiute.
Penso che tu abbia attinto alla realtà, ai tuoi ricordi. Ma, se anche così non fosse, i personaggi saltano fuori veri , simpatici e umani.
Bella lettura.
mi fa molto piacere che il mio raccontino intriso di nostalgia salsifera dei tempi che furono è stato gradito, vi ringrazio molto, Chiara, Blumy, domaccia, erminia, rina, dario. da tempo non scrivevo un racconto, il racconto l’ho postato fresco di giornata, scritto e messo on line, magari sarà da rivedere, nasce da una conversazione avuta con aglieco sull’argomento salsa e bottiglie, sui suoi e miei ricordi, per questo motivo a lui l’ho dedicato, ma lo dedico anche a Dario che si ritrova nel calderone e Rina che è siciliana, non lo so nemmeno io se in altri parti d’italia si faceva la stessa cosa. un caro saluto antonella
una prosa pulita, semplice, capace di scolpire quegli istanti che si imprimono nella memoria, ci abitano anche quando non ne siamo coscienti e scavano la loro nicchia dentro il nostro cuore fino a formare una piccola perla.
mi piace quando la prosa sa raccontare con questa efficacia cose quotidiane, piccoli gesti, situazioni che, quando vissute con intensità e emozione, lasciano un preciso segno che non è nostalgia ma commossa e viva memoria.
davvero saporito, questo racconto, invitante, coinvolgente, ricco di memorie ma memorie vive, non incartate nella nostalgia …con il giusto mix d’inflessione dialettale, appena un filo, e di naturalezza – una scrittura che fa “essere” le persone e gli ambienti
marina
grazie marina. sei molto gentile. ma si sa che la gentilezza ti caratterizza. antonella
Un racconto veramente piacevole. Mi ricorda quando da ragazzo facevamo la salsa in campagna, e tutti qusi profumi, quel calore, la legna, i giochi, le occhiate dei grandi.
Una sensazione che mi è rimasta dentro. Grazie Antonella.
Michele
Proprio bello questo racconto. Da spalmare sul pane 🙂
Un racconto bello e salutare. Un profumo di qualcosa che ti avvolge e ti riempie di calore umano. Calore non banale di un mondo “perduto”.
Mi scuso con iole ma quando ho risposto a marina non avevo ancora visto il suo generoso commento. Ti ringrazio, così come ringrazio michele, luisa, morena. vi mando un bacio al pomodoro 🙂 a.
Una scrittura robusta e di gran stile, depositaria di memorie -dove la storia si fonde al resoconto-
Complimenti pieni.
Mapi
davvero un bacio di fuoco 🙂
bel racconto
amo questi racconti della memoria, un bagno catartico, perché ci sono odori, sapori, sguardi e voci che ci perpetuano nel tempo. e sembra di essere là, vicino al fuoco, a scaldarsi mani e cuore.
un bel leggere, antonella.
margherita